29 May
29May

Il sessismo linguistico è un problema con cui tutt’oggi dobbiamo far fronte e di cui purtroppo si parla ancora troppo poco. 

Con dissimmetria semantica si intendono tutti quegli aspetti estranei alla regola grammaticale, alla morfologia e alla sintassi che veicolano modelli stereotipati dei sessi. Fanno parte delle dissimmetrie l’uso di sostantivi, aggettivi o forme alterate per far riferimento alle caratteristiche estetiche di alcune donne, tra cui sportive o politiche come successo a Olivia Breen, atleta di salto in lungo durante le Olimpiadi di Tokyo del 2020. La sportiva ha raccontato di aver ricevuto commenti sugli slip indossati durante la gara, definiti da una funzionaria di gara troppo corti e inappropriati. A questo punto la domanda sorge spontanea: un concorrente maschile sarebbe stato criticato allo stesso modo? Ovviamente no, perché è chiaro che un uomo non verrà mai giudicato per gli abiti che indossa durante la sua performance sportiva mentre  sarà sempre più facile concentrarsi sul body di una ginnasta o sugli short di una pallavolista anziché sulla prestazione sportiva. Inoltre nel parlato comune si può individuare una categorizzazione di aggettivi attribuiti alle femmine piuttosto che ai maschi. Da questo emerge un’immagine del maschio forte, sicuro, coraggioso, audace e libero mentre della femmina superficiale, emotiva, ingenua e bisognosa di protezione. Risulta perciò difficile per un maschio piangere in pubblico o mostrare le proprie debolezze perché in controtendenza rispetto a tale categorizzazione; allo stesso tempo la donna ha difficoltà a mostrare la propria professionalità e indipendenza.
Per giunta si può facilmente notare che dal passaggio dal maschile al femminile di alcune parole il significato cambia in modo drastico. Ad esempio se diciamo cane intendiamo un animale mammifero mentre se lo volgiamo al femminile, ossia cagna, il significato è molto chiaro: una donna di facili costumi. Stessa cosa avviene per alcuni nomi di mestieri o termini comuni come uomo di strada, ossia un uomo comune mentre donna di strada: una donna di facili costumi. Potrei continuare con altri mille esempi ma la conclusione è sempre la stessa: tantissime parole comuni al maschile volte al femminile vanno a sessualizzare la donna tralasciando il vero significato della parola. In aggiunta è sempre più comune l’identificazione della donna attraverso il marito come nel caso di Victoria e David Beckham; difatti andando a cercare il nome di David scopriremo la sua nascita, la sua professione e i suoi successi mentre per Victoria la prima cosa che appare è l’uomo con cui è sposata. Tutto ciò non è assolutamente accettabile poiché è ingiusto che una donna venga conosciuta e rappresentata solo per l’uomo che ha accanto e non per la sua persona. Per di più è comune utilizzare quotidianamente proverbi chiaramente sessisti come “te la sbrighi bene, per essere una donna” oppure “donna al volante pericolo costante” che alludono a una cultura ancora fortemente maschilista. Infine è molto evidente come tantissime pubblicità utilizzino la figura delle donne per poter ricevere le attenzioni maschili sfruttando il corpo di noi donne che, anche per questo, viene spesso visto solo come un oggetto.

In conclusione ritengo importante modificare alcune forme di comunicazione per evitare espressioni che ci riportino a una società patriarcale di cui tutti noi siamo ancora subdoli nella consapevolezza della gradualità di tale processo. 

Maria Francesca Pittalis, III A Liceo scientifico

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