Anche quest’anno per il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ricordiamo tutte le donne vittime di ogni tipo di sopruso da parte degli uomini. L’apice di questa piramide di violenza è il femminicidio, che quest’anno in Italia ha raggiunto dei numeri terrificanti: 106 donne, 106 storie, 106 vite spezzate dai cosiddetti “bravi ragazzi” che avrebbero dovuto semplicemente amarle.
Vittima recente è Giulia Cecchettin, di soli 22 anni, brutalmente e crudelmente uccisa dal suo ex ragazzo Filippo Turetta. Tutti noi dal primo momento in cui siamo venuti a conoscenza della sua scomparsa, immaginavamo il triste l’epilogo di questa storia, ma ci illudevamo nella speranza di avere torto, di esserci sbagliati: purtroppo non è stato così. Turetta e tutti gli uomini che si sono sentiti in diritto di togliere la vita alle donne che “amavano” sono figli di una cultura retrogada che vede la donna e il suo corpo come un oggetto, un qualcosa da possedere e usare. Questa cultura ha posto radici nella nostra società, tanto che alcune donne, sin da bambine, sono portate inconsapevolmente ad assumere dei comportamenti consoni ai canoni stabiliti. Ci sono donne tanto accecate dall’amore che provano per i loro partner, da non riuscire a cogliere i primi campanelli d’allarme nella relazione, come la possessione e l’eccessiva gelosia.
Ma come possiamo far sì che le violenze quotidiane contro le donne possano finalmente finire? La risposta a questa domanda è semplice: un cambiamento, ma non uno qualunque, un cambiamento radicale nell’educazione dei figli, a cui deve essere insegnato che l’amore non corrisponde a nessun tipo di violenza.
Giulia Galleri, IV D Liceo classico